L'AMICIZIA
A me è stata affidata questa riflessione sull'amicizia, o forse meglio sull'amico, sugli amici. Dicendo amico, amica, amici, la parola "amicizia", che rischia la periferia dell'astrattezza, viene riportata al cuore, al cuore delle cose quotidiane, quelle che tocchi: l'amico, l'amica, gli amici li tocchi con la vita.
E sembra -lasciatemelo dire-di toccare un tema debole, parlando di amicizia, un tema privato, un tema periferico. E quasi -confessiamolo- ci si sente un po' in colpa, a disagio. Passare una sera a parlare di amici, quando i problemi sono drammatici, quando sono in atto tentativi striscianti che mettono in forse la democrazia, quando i cieli piovono ancora bombe e dalla terra sale al cielo il grido di sangue? Non è un tema debole, leggero, troppo leggero? Ma forse non è così, o non è così se l'amicizia viene declinata nella sua immagine vera, non distorta, non inquinata.
Vorrei iniziare con la lettura di un testo che, visto l'autore, può rassicurarci che parlare di amici non è evasione intimistica, non è sconfinamento nella privatezza, nella separazione. Il testo -qualcuno di voi certamente lo conosce- è una poesia di D. Bonhoeffer, pastore e teologo protestante, vittima dei campi di sterminio nazisti. Nella sua poesia parla di altri campi, i campi della vita, dove convivono le due necessità, quelle del grano -ci è necessario il grano- e quella del fiordaliso, l'amicizia.
L'AMICO
A fianco del campo di grano che dà nutrimento che gli uomini rispettosamente coltivano e lavorano cui il sudore del loro lavoro e, se bisogna, il sangue dei loro corpi sacrificano, a fianco del campo del pane quotidiano lasciano però gli uomini fiorire il bel fiordaliso. Nessuno lo ha piantato, nessuno lo ha innaffiato, indifeso cresce in libertà e con serena fiducia che la vita sotto il vasto cielo gli si lasci. A fianco di ciò che è necessario, formato dalla grave materia terrena, a fianco del matrimonio, del lavoro, della spada, anche ciò che è libero vuol vivere e cresce e in faccia al sole. Non solo i frutti maturi anche i fiori son belli. Se i fiori ai frutti o i frutti servano ai fiori chi losa? E però sono dati ambedue. Il più prezioso, il più raro fiore -nato in un'ora felice dalla libertà dello spirito che gioca, che osa, che confida- è all'amico l'amico.
"Non solo i frutti maturi anche i fiori sono belli. Se i fiori ai frutti o i frutti servano ai fiori chi lo sa?" Può essere provocatoria questa poesia di Bonhoeffer, per noi, che "sappiamo tutto", noi uomini del realismo, abbiamo risolto il problema, cancellando o, quando meno, esiliando tra le cose periferiche l'amicizia, forse non valutando gli esiti di questo deperimento. "Dovremmo forse chiederci" -dice Gabriella Caramore- "come mai questa dimensione così preziosa nell'antichità e così innovativa in ambito biblico sia stata lasciata deperire fino a farla diventare quasi un optional nei rapporti umani, una modalità non rilevante, non incisiva, non necessaria nella vita delle persone se non nella loro fase adolescenziale e giovanile, mentre nella vita adulta si smarrisce quasi del tutto nel mosaico delle molteplici, e a volte intercambiabili, relazioni interpersonali. Dobbiamo ammettere che nella storia cristiana certamente le isee di fraternità e fratellanza sono prevalse su quelle di amicizia. Il principio è incontestabile: siamo figli di un unico Padre, e dunque inevitabilmente fratelli e sorelle". Ma l'immagine di fraternità andava letta nell'ottica di un generale appiattimento delle relazioni, un grigio livellamento? C'è il campo di grano, ma c'è anche il fiordaliso.
Vorrei ricavare alcune suggestioni sull'amicizia attingendole alla Bibbia, e vorrei soffermarmi su alcune figure. La mia è un scelta parziale.
Nel Primo Testamento: Abramo. Mi incuriosisce il fatto che Abramo per ben 4 volte nella Bibbia (2 Cr 20, 3; Is 41, 8; Dan 3, 35; Ge 2, 23) sia chiamato "amico di Dio. Così nel rotolo di Isaia: "Ma tu, Israele, mio servo tu, Giacobbe, che ho scelto discendente di Abramo, mio amico" (Is 41, 8). Perché amico, amico di Dio, Abramo? E dove il segno della sua amicizia? Forse perché nell'ora calda del giorno, alle Querce di Mamre, aveva ospitato nella sua tenda, con una generosità prorompente, i tre sconosciuti. E quando ospiti uno sconosciuto è come se tu ospitassi Dio. O forse perché Dio ad Abramo non sa nascondere ciò che ha nel cuore, e questo è dono dell'amicizia, questa trasparenza. Ricordate Gesù: "Vi ho chiamato amici perché ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi". E così Dio con Abramo non sa nascondere che sta per punire Sodoma e Gomorra. "Il Signore diceva: Posso io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare?" (Gen 18, 17). O forse amico perché con l'amico puoi intercedere, puoi osare: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere" (Gen 18, 27). C'è una distanza ed è superata. E Abramo, da buon orientale, "tira sul prezzo" con Dio: "Forse si troveranno cinquanta giusti, quaranta, trenta, venti, forse se ne troveranno dieci…". Lo puoi fare con un amico, suoi tirare di prezzo. Scelgo ancora nel Primo Testamento la storia di Ruth, la donna moabita, donna senza più marito. E Noemi, la suocera, anche lei donna senza più mariti senza i due figli, si alza per ritornare alla sua terra, nel paese di Giuda. E prega le nuore di rimanere nel loro paese, il paese di Moab. I vincoli della carne non spingevano oltre: ognuna portava legami con la sua terra. Ma Ruth rispose: "Non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu andrò anch'io, dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai morirò anch'io e vi sarò sepolta" (Rt 1, 16-17).
Amicizia non è forse questo sconfinamento? Fuori dei confini della carne, del tuo popolo? Non è questo camminare insieme, andare, fermarsi e poi andare insieme? Essere a fianco! E il viaggio non è solo quello fisico. È viaggiare nei pensieri, nei sogni, nelle visioni.
I campi di grano e il fiordaliso. I campi di grano e il fiordaliso anche nel Secondo Testamento. Campi di grano e fiordaliso -mi limito a questo- nella vita di Gesù. Il terreno della sua vita non è a monocoltura. I suoi rapporti rivelano intensità diverse, l'amore di Gesù non è appiattito su un unico registro, non ha un solo colore, ha molti colori. C'è il suo rapporto con la folla, ne percepisce le stanchezze, la fame, gli aneliti segreti. Sente la mano che sfiora il mantello. C'è il suo rapporto con i discepoli, quelli che dividono giorni e notti con lui e, tra questi, i dodici. E tra i dodici tre, Pietro, Giacomo, Giovanni, testimoni del suo volto invaso dalla luce sul monte della Trasfigurazione, testimoni del suo volto in preda all'angoscia nell'orto. E tra loro Giovanni il discepolo che lui amava, quello dell'ultima confidenza.
Dunque nel vangelo ci sono segni dell'amicizia. Gesù viene chiamato: -amico dei pubblicani e dei peccatori -amico di Lazzaro -"il tuo amico è malato"- -chiama "amico" Giuda, nell'atto del tradimento, e Gesù non usa parole vuote di senso, tanto per dire, come succede a noi.
Sono tanti i segni. Ma io vorrei limitarmi ad un'amicizia, legata a una casa, o nei pressi di una casa, perché l'amicizia non è chissà dove, è su questa terra, sfiora le case, sfiora i nostri volti, sfiora la carne. La casa di cui vorrei parlarvi è quella di Betania, casa di un'amicizia: nel racconto della risurrezione di Lazzaro si dice: "Il tuo amico è malato" (Gv 11, 3), e ancora: "Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro (Gv 11, 5).
Vorrei accennare a tre momenti di questa casa, la casa di Betania.
Il primo è raccontato da Luca (10, 38-41): "Mentre era in cammino" -dice il testo- "entrò in un villaggio e una donna di nome Marta lo accolse nella sua casa". L'amicizia è mentre sei in cammino. Mentre era in cammino, era iniziato il grande cammino della sua vita, la salita a Gerusalemme, la salita alla morte di croce. C'è bisogno di amicizia. Sapete che cosa succede nella casa: Marta è tutta presa dai molti servizi, Maria è seduta, accoccolata ai piedi di Gesù e ascolta. Marta si lamenta della sorella che non è di aiuto e Gesù la difende: Marta si preoccupa di troppe cose, si agita, Maria ha scelto la parte migliore. Nel racconto c'è come un centro e una periferia. Al centro vedi Gesù e Maria accoccolata e in ascolto, alla periferia Marta. È altrove, è emarginata nei troppi sevizi, è confinata in una condizione servile. Non è condannata la generosità. Marta è generosa, ma l'amicizia è ascoltarsi nel più profondo. C'è un segreto da svelare. E chi lo ascolta? C'è una soglia cui avvicinarsi, come è detto stupendamente in uno scritto di Erri De Luca:
Ho visto l'amore delle frecce, "io amo te": arco teso contro un bersaglio, dove io è il soggetto e te un complemento, oggetto di una mira, un caso accusativo.
Ho letto in una lingua antica: E amerai "al" tuo compagno come te stesso (veaavtà lereacà camòca). Un errore in grammatica, non un errore in cuore.
Porta amore a qualcuno porgi il te stesso ma fino alla soglia. Fa' che si chini per alzarlo a sé, mai che debba staccarselo di dosso.
Fa' che non sia proiettile contro sagoma attinta, ma la deposta offerta.
Ancora la casa di Betania, questa volta sfiorata dalla malattia e dalla morte, nel racconto di Giovanni (11, 1-44). Nel racconto affiorano scorci di amicizia, segnali di un legame profondo:
l'amico, uno su cui puoi contare; non c'è bisogno di molte parole. Gli mandarono a dire: "Il tuo amico è malato" (11, 1-5);
l'amico, uno che non ha cautele: "Rabbi, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai ancora?" (11, 8);
l'amico, uno che può essere in ritardo sui tuoi desideri: "Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto": all'amico puoi muovere un rimprovero, dolce ma non taciuto nel vangelo;
l'amico, uno che non sta al di fuori come gli amici di Giobbe, con parole al di fuori, ma entra: "si commosse, si turbò, scoppiò in pianto". Nulla da spartire con gli uomini gelidi che sorvegliano i sentimenti;
l'amico, uno che ti porta fuori dalla casa della desolazione, ti fa guardare oltre, prolunga la visione, ti fa sognare la gloria di Dio: "…se credi, vedrai la gloria di Dio";
l'amico, uno che non si rassegna alle parole di morte, alle situazioni di morte, fa segni di vita, dice parole di vita: "disseppellire Dio nei cuori devastati", un compito che assegnava a se stesso Etty Hillesum;
l'amico, uno che non ti lega, ti sbenda, ti fa camminare, ti libera da tutto ciò che ti lega;
l'amico, uno che muore lui, perché tu viva: "Da quel giorno decisero di ucciderlo".
Il terzo momento della casa di Betania (Gv 12), sei giorni prima della Pasqua, la cena, Marta serviva, Lazzaro uno dei commensali. Maria e l'olio profumato: "cosparse i suoi piedi e l'asciugò con i suoi capelli". Le critiche, pretestuose, la difesa di Gesù: è un brano che apre una fessura da cui sorprendere il bisogno di amicizia di Gesù. È un aspetto poco indagato, quasi costituisse un attentato alla sua grandezza, a un cosiddetto ascetismo. Bisogno di un'amicizia vera, concreta, non confinata in un falso spiritualismo. Così diverso Gesù da coloro che -dice Mounier- poiché non sanno amare gli uomini credono di amare Dio.
Betania una casa in cui Gesù ritorna spesso, la sera, nei giorni che precedono la sua Passione, quando si avvicina l'ora. Anche qui, nel racconto, c'è un centro e una periferia.
Nella periferia tanti volti un po' spenti: Lazzaro uno dei commensali; Marta che serviva. Ma poi ci sono i discepoli con i loro discorsi mercantili: fanno questione di soldi. E ospite è uno che ha nel cuore l'ombra e il turbamento della sua ora. Quanto sono lontani. È lui il povero. Betania forse significa casa del povero, del desolato.
E al centro la donna, una che sfiora il segreto. Nel silenzio, non ci sono parole. L'amicizia può essere senza parole, può essere negli occhi, in un gesto. Un gesto in cui c'è il profumo della sproporzione. Un gesto totale, che tocca anche il tuo corpo. Gesù ha sempre difeso contro i puritani questi gesti della tenerezza.
L'amicizia, l'amica non ti toglie il problema, non ti toglie l'ora, ti dà il coraggio di affrontarla. È il profumo che vince il cattivo odore della morte: io ti ungo come Messia.
Quando Gesù cercherà conforto nell'orto non lo troverà. Ha vissuto anche il tradimento dell'amicizia. Ma ha anche detto: Amico. "Amico, per questo sei qui" (Mt 26, 30), a Giuda. Ed erano parole vere, non parole per dire.
I campi di grano e il fiordaliso.
L'insegnamento biblico svela le visioni di corto respiro. Svela quanto siano state visioni di corto respiro quelle che gettavano sospetti sull'amicizia, come se l'amicizia fosse cedimento all'amore egoista, come fosse indulgere al ripiegamento nella sfera del sentimento e della privatezza.
Lo scolorimento dell'amicizia ha portato inesorabilmente allo scolorimento della fraternità, parola declamata, ma svigorita, privata di ogni sentimento: si ama tutti, e non si ama nessuno, si ama senza guardare, senza toccare, senza abbracciare. Con l'esito di comunità ecclesiali, gelide, asettiche, asfittiche.
E aggiungo: Ridare calore e intensità all'amicizia significa ridare colore, intensità all'intera vita comunitaria, significa immettere nella società energie sane. Sì, perché il dinamismo dell'amicizia è il superamento del confine, il confine della parentela, della razza, della religione, di ogni identità escludente; è la seminagione dell'armonia ritrovata tra diversi. Il dinamismo dell'amicizia è un dinamismo di gratuità, seminato là dove vige la logica del mercato, della competizione. È l'attenzione al volto dell'altro. È la seminagione della logica, della comunione dentro una terra segnata dalle differenze gerarchiche. È intravedere la terra nuova di "una alterità senza differenze gerarchiche" (R. Mancini).
È immaginare una terra che sta oltre la legge del dovere, la legge del dovere che sembra -come sottolinea Bonhoeffer- connotare la famiglia stessa, il lavoro, la società. Terra del miracolo della libertà. A fianco di ciò che è necessario formato dalla grande materia terrena a fianco del matrimonio, del lavoro, della spada, anche ciò che è libero vuol vivere e crescere in faccia al sole.
Una terra, quella dell'amicizia, che può essere profezia di Dio, della sua presenza. Tant'è che qualcuno ha osato il nome di sacramento per l'amicizia, anzi il più importante dei sacramenti. Così Sorella Maria dell'eremo di Campello.
"Che mezzo, che sacramento di ogni momento, l'amicizia; è il sacramento di Gesù per eccellenza! "Non vi chiamerò più servi ma amici". Quanto dobbiamo all'amicizia, all'affetto!… Ah! io credo proprio che il sacramento più possente sia quello dell'amicizia. Possiamo riceverlo fino all'estremo, e sentirne il debito!". "Io considero l'amicizia una delle più grandi forze del mondo. Si può dubitare di tutto, ma non dell'amico fedele. Quanto si può ricevere attraverso l'amicizia! Se si giunge all'amicizia con Gesù tutto si crede, tutto si spera, tutto si affronta". "Raramente la fede altrui serve; più spesso infastidisce. Quello che aiuta quando si soffre è il cuore amico, sul quale si sa di poter contare sempre".
E vorrei finire dedicando anche a voi questo testo che anni fa dedicavo ai miei amici. Lo dedico a voi che mi avete ascoltato, dopo una faticosa giornata di lavoro, questa sera.
I volti degli amici sono come Terra Promessa: pochi metri di zolla nera e feconda che conosco palmo a palmo, come il ramificarsi delle vene su una mano.
I volti dei miei amici sono come lo specchio del tempo. Li interrogo in silenzio la sera: negli occhi s'è fissata e ancora vive, tutta, l'avventura di un giorno: ancora inseguono scomode immagini, come mozziconi che nessuno osa spegnere in ceneri di indifferenza. Dilaga nella piega degli occhi la lotta dei disperati, l'amore dei folli, questo nostro sperare contro ogni speranza.
Sui volti dei miei amici ripercorro ogni giorno il sentiero inquieto delle nostre domande senza risposta.
Unica certezza -tra sabbie e deserti di scelte provvisorie- il Cristo Presenza e Assenza, vicino come la carne di uno sposo, e atteso nella notte con fiaccole che faticano al vento quasi fossero sul punto di morire.
E noi, amici? Noi chiamati a rischiare la notte, a decidere al buio -quando fioca è la luce- per un cammino o per l'altro. Perché non parli, o Signore?
Nostra nuova condizione è non sapere e sperare contro ogni speranza. Volti dei miei amici volti senza presunzione, immagine della speranza dei folli. Volti dei miei amici, la terra del domani.
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